Ci si abitua a tutto, anche alla notorietà. O almeno quella dei grandi palcoscenici, dei grandi stadi, delle notti dei campioni, delle nazionali che vincono trofei, comunque sempre le squadre degli altri. Questa Ungheria però, è anche un po’ “nostra”, perché ci tocca nell’orgoglio, e riempie di gioia nel vedere un allenatore italiano, che sembrava non poter lavorare nel nostro paese, ma che sta rendendo grande un movimento, come quello magiaro che non gode di chissà quale fama a livello di calcio, se non fosse per Ferenc Puskas, leggenda del calcio europeo, ancora oggi considerato il miglior giocatore ungherese di tutti i tempi, che da metà degli anni 40 fino al 1966, ha reso grande sia il Real Madrid, che la sua amata Ungheria.

Marco Rossi, uno dei più classici nomi italiani, uno di quelli che, si prendano come esempio quando si racconta una storia, Marco e Rossi, sembra quasi di parlare del vicino di casa di un tale, di un tizio ed invece, questo Marco Rossi, è molto di più di un gettonatissimo nome e cognome italiano, è un uomo che se n’è andato dal nostro paese per cercare fortuna altrove, facendo la gavetta, anche in un paese dove poteva probabilmente insegnare a quasi tutti, scalando gerarchie, conquistandosi sul campo e con merito, la chiamata per allenare la nazionale maggiore magiara.
Questo signore, ha riportato un entusiasmo nel movimento calcio ungherese incredibile, eppure, nonostante il clamore che ha suscitato la sua Ungheria se ne parla sempre troppo poco. E purtroppo ci si abitua anche a questo. Ma questo Rossi lo sa bene, perché come detto prima, lui è davvero un uomo che si è fatto da solo. A 57 anni di età l’ex difensore ritiratosi nel 2000, dopo una interessante carriera da professionista, che lo ha visto indossare tra le altre le casacche del Brescia e della Sampdoria, guida la nazionale ungherese ormai dal 2018, protagonista anche agli europei dell’anno scorso, oltre che nell’ultima UEFA Nation League, dove guida il girone con 7 punti davanti addirittura a Germania Italia ed Inghilterra. E tutta questa visibilità e questi risultati, non possono essere frutto del solo caso: il lavoro fatto da Rossi con la nazionale maggiore maschile di calcio ungherese, è sotto gli occhi di tutti, perché, per sua stessa ammissione, non avendo una squadra troppo dotata tecnicamente è necessario lavorare su quello che è l’impianto di gioco e soprattutto l’organizzazione di gioco, elementi che spesso permettono a squadre più piccole di ottenere risultati incredibili, se proporzionati al valore delle rose in questione, mi viene in mente tanto per citarne una, la Grecia campione d’Europa nel 2004. Grazie a queste qualità, la squadra ungherese, pur non mostrando un calcio eccezionalmente propositivo, è riuscita a distinguersi e soprattutto, ha lanciato giocatori interessanti sul palcoscenico del calcio che conta.
Si, ma a che punto è la storia?
Nel suo piccolo, con quello che ha a disposizione, Marco Rossi ha già scritto una pagina importantissima del calcio ungherese, e sembra che ci siano tutti i presupposti perché questa storia di amore bilaterale incondizionato prosegua. Dopo la partita con la Germania il tecnico italiano, disse ai microfoni che il giorno che morirà, sarebbe felice di sentire un minuto di silenzio negli stadi ungheresi in onore della sua memoria, questo aneddoto dovrebbe farci capire quanto profondo sia il legame tra le due parti dopo tutti questi anni di ricostruzione e, perché no, successo ottenuti insieme. Come tutti ben sappiamo, l’Ungheria, non gioca un calcio eccezionalmente propositivo, anche perché non ha né Sterling, ne Lewandowski, ne Mbappè nelle sue fila, ma il grande sacrificio tattico e la grande preparazione che il tecnico dedica ad ogni singolo match, rendano questa squadra un cliente poco desiderabile anche per squadroni con ben altro blasone (vedi la Germania). Purtroppo, come l’Italia anche l’Ungheria non ha ottenuto il pass per il mondiale in Qatar, ma si può ritenere un avvenimento abbastanza normale visto che la fase di ricostruzione ed affermazione non è ancora all’apice nel movimento calcio ungherese. Ma la cosa più bella, in tutta questa vicenda, che mi auspico con fervore, è il messaggio che squadre e realtà come l’Ungheria, mandano alle altre “sorelle minori”, ovvero che nel calcio si parte sempre 11 contro 11, ma soprattutto che l’esito di una partita non è mai deciso prima che l’arbitro non compia il fatidico gesto del triplice fischio.
Storie come questa, sono rimaste a mio modesto parere, in un calcio speculativo, azionario e vergognosamente corrotto, le uniche che suscitano interesse, accendono la passione, ed in alcuni casi ti fanno tifare per loro, come nel 2002 fu per il Senegal. teniamo d’occhio il percorso di Rossi e della sua nazionale, nella speranza di poter tornare a parlare a breve di un altro miracolo sportivo da raccontare ai propri nipoti.