Un saluto a tutti cari appassionati di basket e benvenuti per una nuova puntata della nostra rubrica Nba Talk! La settimana scorsa avevamo dedicato il nostro spazio al leggendario Black Mamba questa volta invece, rispetto anche al primo player profile che abbiamo visto insieme, cambieremo completamente ruolo parlando di un pivot che negli anni novanta fece molto parlare di sé: stiamo parlando del 2 volte campione Nba Hakeem Olajuwon, probabilmente il miglior giocatore africano naturalizzato statunitense della storia del basket. Per chi non lo conoscesse si tratta di un centro che misurava ben 213 cm per 116 kg, uno dei migliori di un epoca in cui sicuramente la posizione era ricca di grandissimi giocatori come ad esempio Alonzo Morning, Patrick Ewing, David Robinson e naturalmente Shaquille O’Neal! Penso che converrete con me che in mezzo a tutti questi campioni non era certo facile emergere ma Hakeem ce la fece senza problemi soprattutto grazie alla sua grande versatilità: lo storico numero 34 degli Houston Rockets infatti riuscì a stupire tutti sia in attacco (era davvero molto tecnico nei movimenti per essere così grosso) che in difesa (difendeva il ferro e dominava a rimbalzo come pochi). Il suo era un gioco micidiale che puntava tutto sulla parte più interna del campo e pensate che persino sua maestà Micheal Jordan ammise che non c’era nessun centro che fosse completo quanto lui cosa testimoniata soprattutto dalle sue notevoli medie in carriera di 21,8 punti conditi da 11,1 rimbalzi e 2,5 assist nell’arco di 18 stagioni (84/85 – 01-02) tutte con la maglia dei Rockets tranne l’ultima abbastanza dimenticabile a causa anche di alcuni infortuni in maglia Toronto Raptors.

Come avete potuto vedere anche per lui sicuramente parla da solo il palmarès di tutto rispetto per un giocatore che ha saputo vincere tutto quello che c’era da vincere sia a livello individuale (mvp nel 94 ma anche 2 volte nelle finali e 2 volte Defensive Player of the Year) che a livello di squadra visto che guidò gli Houston Rockets a due titoli consecutivi nel 94 (contro i gli ostici Magic di Shaquille O’Neal e Penny Hardaway che avevano sconfitto i Bulls di Jordan) e nel 95 (contro i Knicks di Patrick Ewing). A mio modo di vedere spicca anche parecchio la sua nomina di Rookie of the Year dal momento che il draft del 1984 è da tutti considerato come uno dei migliori della storia del basket Nba visto che annoverava un sacco di fenomeni: tra gli altri John Stockton, Charles Barkley e soprattutto MJ. Ma torniamo ad Hakeem e concentriamoci sul suo gioco: come accennavamo prima stupì davvero molto che un centro di quelle dimensioni avesse mani così delicate e soprattutto potesse fare movimenti di quel tipo, pensate che il centro passò alla storia per essere uno dei migliori di sempre nel gioco in post basso tanto anche da fare da maestro a molte superstar Nba negli anni dopo il suo ritiro. Attualmente forse sarebbe un po’ fuori moda ma ai tempi la sua celebre Dream Shake era temutissima nella lega e lo rendeva davvero difficilissimo da difendere per i centri suoi pari:
Posso assicurarvi che fare con continuità quel movimento (con quel lavoro di piedi) è molto più difficile di quello che sembra ma sicuramente se imparato a memoria e perfezionato in anni di allenamento può dare grandi soddisfazioni: gli avversari dopo così tante mosse spesso finiscono per andare fuori giri e poi cascare anche alle finte più ovvie. Ma l’impatto di colui che è stato a mani basse il primo africano a fare la differenza in Nba non si fermava certo alla meta campo offensiva: come detto Hakeem era anche una grandissima presenza in difesa sia per quanto riguarda le rubate che naturalmente le stoppate. Un dominio assoluto ancora più impressionante del normale perché dovete sapere che il centro nigeriano è un musulmano praticante e quindi si è sempre trovato a dover rispettare un mese all’anno (variabile) il digiuno del Ramadan tipico della sua religione: questo non lo fermò di certo nel febbraio del 1995 dove la sua superiorità fu talmente netta che vinse il premio di giocatore del mese! Penso sia inutile dirvi che è davvero una cosa di una difficoltà pazzesca che denota una forza mentale senza precedenti, non siete d’accordo?
In una carriera costellata di grandissime partite non è semplice scegliere una per chiudere come facciamo abitualmente il nostro profilo per questo storico giocatore ma considerando anche le circostanze a mio parere la scelta ricade sulla seguente gara: la numero 6 delle finali ovest del 1995 dove gli Houston Rockets riuscirono ad eliminare i San Antonio Spurs, la migliore squadra della lega in stagione regolare che contava anche sul suo centro Mvp David Robinson.
Hakeem si sentì attaccato nell’orgoglio perché quell’anno il premio di Mvp lo vinse il suo rivale al posto suo e quindi non ci fu scampo per i nero argento: in quella run il suo coach Rudy Tomjanovic coniò la celebre frase ‘Don’t underestimate the heart of a champion’, cioè mai sottovalutare il cuore di un campione. Grazie a quell’incredibile exploit Houston ritornò in finale per il secondo anno consecutivo e la leggenda di Hakeem Olajuwon si arricchì di lì a poco del secondo titolo Nba in fila: impresa riuscita davvero a pochissimi. In chiusura voglio confidarvi che ho un debole per questo giocatore: forse non sarà stato famoso come uno Shaq o un Kareem e non avrà avuto le loro vittorie totali ma io credo che sia stato il centro dal gioco più bello da vedere che la storia dell’Nba ricordi, a dimostrazione del fatto che il basket non è solo una questione fisica ma anche e soprattutto tecnica. Detto questo penso sia giusto a questo punto lasciarvi la parola: cosa ne pensate di questo storico pivot? Quale sua partita ricordate di più? Fatemelo sapere nei commenti, per la puntata di oggi della nostra rubrica Nba Talk è davvero tutto, a risentirci alla prossima settimana sulle pagine di Varzone!